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Intelligenti pauca

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Le regole del consumismo impongono una moltiplicazione crescente delle produzioni e una progressiva dequalificazione della manodopera. La quantità dei beni di consumo ed il tipo di operaio che derivano da questa situazione, sottopongono la qualità del prodotto a spinte progressi­vamente assai negative. A tale risultante il sistema capitalista cerca di porre rimedio applicando ai cicli di produzione soluzioni tecnologiche sempre più sofisticate. Ma così la qualità che si ottiene è sempre più legata al macchinario impiegato e sempre meno all’intervento dell’uomo; si tratta cioè non di innovazione creati­va, a dimensione umana, ma di una pseudo-qualità frutto di standardizzazione ed anonimato.

La stessa cosa accade nel campo delle arti. Sempre più spesso, infatti, ci si ritrova di fronte a cosiddette “opere artistiche” figlie di un utilizzo (standardizzato) delle tecnologie. Penso ad esempio alle migliaia di artisti che si ostinano ad esporre opere di non-arte, frutto di modifiche o deformazioni ottenute per mezzo del computer o di altri filtri tecnologici. Al di là della riproducibilità all’infinito di codesti lavori (un file è sempre un file), c’è da considerare la totale mancanza di manualità acquisita, se non in termini di capacità di utilizzo di un mezzo elettronico. Un po’ come se l’operaio specializzato di un’industria automobilistica si ascrivesse il merito artistico della produzione di centinauia di sportelli in vernice metallizzata.

Il prodotto industriale, artistico e non, è per giunta di breve durata, e ciò è anche e soprat­tutto una precisa scelta economica del consumismo.

Ma il prodotto, quando è inflazionato, dequalificato, destinato a durare poco, ad essere buttato via, non vede sostanzialmente diminuita la sua  utilità, il suo intrenseco valore? Quanti prodotti, oggi consumati dalla massa, sono effettivamente utili all’uomo? E, quelli di scarsa o nulla utilità, che sono la maggioranza, quanta fatica costano all’uomo? E quanto danno al pianeta?

Appare sempre più evidente come questo tipo di società utilizzi e renda possibile solo un lavoro meccanico e schiavizzante ed emerge allora la necessità di restituire al lavoro e all’arte le loro originali nature liberatorie: la possibilità di tradurre in pratica il risultato dell’intelligenza e della volontà dell’uomo.