Robert Brasillach, scrittore e poeta francese, fucilato nel febbraio del 1945.
Brasillach venne fucilato a trentasei anni, colpevole di reato di opinione.
Nei suoi confronti il generale De Gaulle fu inflessibile e decretò la sua condanna a morte: respinse la richiesta di grazia presentata dall’avvocato difensore del giovane scrittore. Ignorò del tutto una petizione per salvargli la vita, firmata da oltre cinquanta intellettuali francesi, tra i quali Jean Cocteau, Francois Mauriac, Paul Claudel, Albert Camus, Paul Valery.
Dopo cinquant’anni di oblio, la critica letteraria si accorge di questo poeta, tenuto per decenni ai margini della letteratura europea; ecco che un libro (recensito anche dai maggiori quotidiani italiani) ne celebra l’opera, nel maldestro tentativo d’intruppare lo scrittore francese nella nella belante accozzaglia culturale che contraddistingue il nostro tempo. Questa tardiva riabilitazione potrà servire se non altro a portare alla luce la sua vasta produzione letteraria, finalmente sdoganata dai signori dell’editoria.
La sua idea di fascismo era tutt’altro che identificabile con qualsivoglia spirito autoritario, ed era semmai il frutto di un amore per la vita, espresso in modo assoluto: «Il cameratismo – scriveva – ha bisogno anche della confidenza, della reciproca fiducia, di simpatia, di gioia, di spirito di gruppo e, soprattutto, di non prendersi troppo sul serio. Il nostro cameratismo, in un mondo che cambia, di giorno in giorno più violento e sottosopra, ci è sembra un punto fermo, un approdo sicuro, forse l’unico che ci è rimasto. E poi ci ha regalato delle gioie, dei momenti indimenticabili, che non ritroveremo più vivi, più scanzonati, più liberi».