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Don Vito Cemento, nemico del Santo

Cari Portatori, la vostra associazione ha il merito di essersi fatta punto di coagulo e di rivalsa di una città in perdita d’identità e di valori. Merito tanto più encomiabile perché allevato nel mezzo dell’abbandono, del disservizio, del disordine e della rinuncia di una classe politica indegna di amministrare finanche un condominio uzbeko.

E adesso eccovi qui, in questa foto, dietro le inferriate volute da un potentato insolente e irriguardoso – nessuno mi toglie dalla testa che questo tempismo nei lavori sia cercato, voluto e studiato appositamente per intralciare la vostra attività. A guardare le vostre facce, direi che pochissimi di voi hanno dato il proprio voto a Don Vito Cemento e ai suoi aviglianesi ceffi d’origine colombiana. E quand’anche così non fosse, non sarebbe meno grave la dimenticanza della giunta comunale dinnanzi a un appuntamento così importante (forse l’unico rimasto) per i potentini e in particolare per i giovani della città.

Una gioventù ricca di valori umani e culturali, sempre più relegata all’emarginazione e alla sopravvivenza a mala pena (si pensi ad esempio ai contributi stanziati per favorire le iniziative di aggregazione giovanile e li si compari ai milioni di euro sperperati per continuare a cementificare e screziare una città già di per sé bella solo agli occhi di chi la ama). Un’iniziativa giovanile frustrata e umiliata dal ferreo sistema clientelare e di “voto di scambio”, unica legge del capoluogo e dell’intera regione lucana.

Ed eccovi qui, impotenti dietro una grata, a guardare attoniti “La Piazza”, il cuore della città, già ferito dalla sapiente mano degli architetti di turno (nel caso di specie, la giovanissima Gae Aulenti,  – classe 1927 – e a quanto pare tale Maroscia, che se non erro si è già contraddistinto in passato in città, per sobrietà di forme e di colori). Tuttavia il rendering sembra piuttosto sobrio e il risultato potrebbe anche non essere spiacevole. Ma non è questo il punto.

Questa vostra foto è una metafora perfetta dell’impotenza che attanaglia i cittadini, di fronte alla sfrontatezza di una classe politica che si comporta come quegli irriverenti signorotti medievali. Ma questa volta Don Vito Cemento dovrà misurarsi con un tessuto umano più consapevole della propria forza (la festa di San Gerardo è diventata di gran lunga l’evento più importante della città). Già vedo i vostri volti avvezzi a scavalcare le inferriate, attratti dalla rivalsa civile che non è più disposta a soccombere sotto il tacco del prepotente di turno. Forse non è vero che il potentino ha per destino quello di restare a guardare, perché tanto poi le cose si aggiustano. Forse quest’ennesimo sberleffo è il segno di un potere che si sta per sgretolare, perché non ha più nulla da scambiare col voto, perché più nulla c’è da scambiare. Forse sarà proprio il Santo, così come successe coi turchi, a dare ai potentini la forza d’animo e la consapevolezza di piazzare una pedata nel culo di questi furfanti malfattori.

Non lasciate che sia il Comune a decidere alcunché. La festa non è loro. Decidete voi un luogo alternativo (che potrà essere, perché no, nella periferia tanto snobbata da lorsignori). Oppure in centro in altra forma. Salvo poi l’anno prossimo tornare in piazza. Vendete cara la pelle,  tenete alta la guardia, pretendete TUTTO oppure create scompiglio e, se necessario, pensate ad azioni di disturbo e disobbedienza civile. Trovate in voi la forza di auto determinare gli eventi, per evitare che l’indifferenza della nostra stolida classe politica possa togliere luce all’unica iniziativa di tipo comunitario-aggregativo nata a Potenza negli ultimi vent’anni.

Gn’anna fa piglià nu mal a chi l’anna d’spr’zzà!

 

Lucania conservatrice

“La conformazione del territorio e le vicende storico-politiche hanno decretato la nascita di importanti centri arroccati su cucuzzoli inespugnabili. La scelta d’insediarsi su queste creste, dettata dalla necessità di sfuggire agli insalubri e pericolosi fondovalle, porterà a stabilire un legame vincolante tra uomo e natura che salderà per sempre civiltà e territorio. La montagna impone necessariamente un certo stile di vita: abitudini, alimentazione, organizzazione del lavoro, costumi, usanze tradizioni, sono subordinati alla natura del territorio. La stretta integrazione che sin dall’origine viene a determinarsi tra la forma degli insediamenti e la fisionomia naturale dei luoghi, costituisce infatti uno dei caratteri distintivi della morfologia storica e ambientale dei centri dell’Appennino Lucano. L’impervietà dei luoghi, se da un lato favorisce l’isolamento, dall’altro aiuta a custodire le tradizioni, a sostenere e garantire l’identità del suo popolo”. (Alessandra Bruno – Tiziana Pani, L’Appennino Lucano, dal Vulture al Pollino – ed. Provincia di Potenza – Potenza 2006)

Lucania, in piedi!

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Salvatore Margiotta: altra bella prova della classe politica lucana.Margiotta, per curiosità, viene dall’aviglianese “marr’ggiotta” che letteralmente vuol dire piccola zappa.

Una classe politica semianalfabeta che da anni affama la nostra terra e umilia la nostra gente. Una regione che dovrebbe avere il pil del Lussemburgo, se si pensa alle risorse che ha a disposizione. Oro bianco, oro nero, olio, vino, una densità di popolazione tra le più basse d’Europa. Tutte le carte in regola per essere una Svizzera del Sud. O quantomeno un luogo di grande attrazione turistica. E invece è una terra ridotta alla fame, stuprata da palazzinari scellerati e svenduta alle multinazionali che, dopo aver incassato i contributi dell’Unione Europea, chiudono i battenti dei loro casermoni nel deserto, senza manco metterci una faccia da spaccare.

Le royalty per l’estrazione del greggio si aggirano in Lucania introno al 7%. Nei paesi arabi le compagnie petrolifere arrivano a sborsare fino al 58-60%. In un giorno in Val d’Agri vengono estratti 71.644 barili, pari ad un valore ipotetico medio di 3,7 milioni di euro. Al giorno!

E ancora oggi una gioventù imbelle rincorre la chimera del posto fisso, leccando il culo ai nuovi gendarmi del clientelismo made in Colombo. Giovani rampanti “democratici”, apparentemente preparati, che hanno sempre meno posti da promettere, sempre meno promesse da mantenere e facce meno serie di quei democristiani lì. La merce di scambio del posto fisso che fece grande la DC lucana ormai scarseggia da più di un decennio. E con essa anche la statura dei polici è andata, se possibile, diminuendo.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Siamo una regione del Medioriente, cominciamo ad avere i problemi del terzo modo e la bruttezza, umana e architettonica, ci sta mangiando piano piano.

Ma siamo diversi dal resto del Sud. Questo è almeno quello che il lucano dice in giro.

Bene, siamo diversi, ne sono convinto. Dimostriamolo!

San Gerardo protettore dell’identità

pz

La postmodernità che attraversiamo sembra un ultimo supplizio prima del probabile decesso dell’Occidente. Un supplizio che infligge molteplici trasformazioni che somigliano sempre di più a negazioni, scomparse, appiattimenti.

Potenza 2008. Provincia del Sud Europa. Festa del Patrono (San Gerardo). In barba alle attualissime visioni europeiste allargate, si festeggia la cacciata dei turchi dalla città.

Una tra le tante amputazioni contemporanee, che potrebbe apparire derisoria se paragonata ad altri drammi del nostro tempo, ma non meno sintomatica, è la progressiva sostituzione della gioia attraverso le festività obbligatorie condotte. Tale tendenza è drasticamente aumentata a partire dagli anni ‘90, sull’onda del veltronismo e di un progressismo di facciata che ha interessato prima Roma, poi l’Italia intera.

In cosa consiste questa nuova pratica della sostituzione della gioia? Nell’erigere a norma sociale «avvenimenti» ufficialmente e civicamente festivi ai quali la popolazione è invitata a partecipare, pena l’essere qualificata come reazionaria, rinnegata e guastafeste.
Il grande rito del tempo libero collettivo certificato «in conformità» prende i nomi di “Festa della musica”, “Raduno roller”, “Notte Bianca”, “Love Parade”, “Gay Pride”, eccetera.

Luoghi ed eventi nei quali la gente si diverte con serietà e professionalità. La festa non è più un soggetto sul quale scherzare, soprattutto da quando essa è stata immolata a medicamento per una popolazione depressa e abulica. E’ uno spazio di divertimento condotto e controllato.

La festa del patrono di Potenza, tralasciando le lacune fisiologiche di questa provincia, segna un punto in direzione contraria: grande partecipazione popolare, grande coesione comunitaria.

Il merito va ascritto all’Associazione dei Portatori del Santo e a tutta gioventù lucana, che anima i giorni della festa con uno spirito triviale, genuino e devoto. Devoto – diciamo la verità – più alla tradizione ed alla appartenenza alla propria comunità che al santo patrono.

La decadenza non manca nella suggestiva cornice di Largo Pignatari che ospita il “pranzo dei portatori”. Ma l’abnegazione e la genuina gioia dei “uagliò” fa barriera contro l’insinuarsi del Secolo e, almeno per un paio d’ore, si sente l’odore della Tradizione e il calore del Popolo.

Oggi, in questo tipo di occasioni, si ride poco, non c’è grande interazione e spesso scoppiano incidenti, risse, tumulti. In sostanza non siamo più in presenza di un’esplosione di gioia collettiva, ma di un tentativo di neutrelizzare il dolore, lo stress e la frustrazione che scaturiscono dalla condotta di vita dell’occidente contemporaneo. Si dimentica anziché ricordare, si disperde anziché conservare, ci si immerge in un mondo fittizio fatto di droghe, alcool e rumore, nel tentativo di nascondere l’abissale vacuità culturale, spitituale e indentitaria.

E’ per questo che la festa potentina colpisce per contrasto coi tempi. Molto si può fare ancora per aumentare il grado di coesione e consapevolezza di questa bellissima gioventù, di questo orgoglioso popolo. Bisogna sempre ricordare che non si ride e non ci si diverte tra gente che non condivide nulla, non ha riferimenti comuni, né storia, né memoria, né ricordi, né avvenire. Verdi, rosse, gialle o bianche che siano, le loro notti non varranno mai neppure un’ora del nostro 29 maggio.

Lucus

Una dorsale di alte rocce calcaree e silicee che va man mano abbassandosi per risalire ad Occidente con i Monti della Maddalena; paesaggi dolomitici a Brienza, Casalbuono e Moliterno, semplici e gravi a Maratea e Latronico; una barriera formidabile, quella del Pollino, mastodontico verso la Calabria. E monti, monti tra i più alti e impervi dell’Appennino, digradanti di contrafforte in contrafforte sul mar Ionio o cadenti e scoscesi sul Tirreno tra Sapri e Maratea.

Terra brulla, qua e là ferace, generalmente povera, spesso incolta e incoltivabile; natura severa, raramente sorridente, che mette nell’animo un senso di malinconia e di abbandono che non è di pace e nemmeno di riposo.

Gente semplice e malinconica, come la natura che la circonda; pertinace come lo è il montanaro; d’ingegno aguzza, generosa di cuore, ma dura e quasi sadica nella vendetta, come i primitivi; attaccata profondamente alle tradizioni, ai costumi dell’ospitalità e della religione; gente resistente al lavoro, rispettosa della legge, della proprietà, sobria e gelosa dell’onore famigliare; che ha nel sangue l’istinto della trasmigrazione, capace com’è di acclimatarsi sotto tutti i paralleli e tutti i meridiani; gente povera che può lavorare dodici ore nei campi nutrendosi di un tozzo di pane e d’una cipolla; gente eroica che conosce il sacrificio come norma di vita e l’accetta quale dono di Dio e non si ribella.

Questa è la Lucania.

(Gerardo Capoluongo – 1969)