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Caro Steve

Caro Steve,

tu sei il mentore di giovani e meno giovani che la pensano differente, pur pensandola tutti allo stesso modo. Hai cambiato milioni di vite. E anche un po’ la mia.
Ad esempio, prima andavo a correre a Villa Pamphili e sentivo solo gli uccellini. Ora corro ascoltando i ritmi tribali dei Chemical Brothers o gli archi di Haydn, in una deliziosa bolla musicale, techno o classica, a seconda di come mi gira.
Te ne sarò grato per sempre.

E poi – a dirla tutta – con sta storia di frequentare la morte per apprezzare meglio la vita, mi hai conquistato definitivamente. E’ una buona idea, elementare, ma nessuno ha avuto mai il coraggio di tirarla fuori al grande pubblico con chiarezza, come hai fatto tu. A me lo diceva sempre anche mio nonno. Anzi me lo cantava: “A noi la morte non ci fa paura/ ci si fidanza e ci si fa l’amor/ se poi ci avvince e ci porta al cimitero/s’accende un cero e non se ne parla più”.

Ho sempre guardato con stupore e ammirazione alla tua figura, Steve, a prescindere dagli uccellini di Villa Pamphili: perché pur essendo rigido esecutore di una cultura d’impresa chiusa, isolata e controllata, milioni di designer, pubblicitari, musicisti ed altri professionisti della creatività, hanno amato profondamente te e i tuoi prodotti. E, cosa ancor più incredibile, il marchio Apple è sempre stato sinonimo di libero-pensiero.
Basta buttare un occhio ai media in queste ore, o al sito di Zuckerberg, per fugare tutti i dubbi, qualora ve ne fossero: un guru, un genio, una guida, un messia. Giudizio unanime.

Partiamo dall’iPod, la tua creatura che conosco meglio. L’idea di un riproduttore musicale, sincronizzato solo a se stesso e ad iTunes, ha messo in catene le nostre esperienze di navigazione, la ricerca di brani o band, cambiando per sempre il modo di fruire della musica (e non solo). Una vera e propria rivoluzione, fatta mentre le major si affannavano inutilmente a rincorrere i «pirati» del peer-to-peer.

E qui ci avviciniamo al punto.

Ho l’impressione che tu sia sempre stato concentrato a cercare ficcare tutte le nostre vite in un solo aggeggio: la musica con l’iPod, i giornali con l’iPad, le nostre comunicazioni con l’iPhone. Supporti unici e inviolabili che non tollerano agenti esogeni; supporti totalizzanti, che testimoniano, però, l’appartenenza a un’idea molto diversa da quella che tu stesso amavi raccontare, con quella tua faccia da bravo ragazzo e gli occhialetti alla Lennon.

«All-Apple» era il tuo sogno irrefrenabile, fin dall’inizio della tua carriera. Come quando i tuoi stessi ingegneri ti hanno dovuto fermare, perché t’eri messo in testa di costruire un hard-disk  made in Apple. Mal sopportavi, infatti, l’idea che le tue macchine non fossero tue al 100%. E il fastidio per le commistioni è sempre stata un po’ la cifra della tua imprenditoria. Poi il fantasioso colosso americano s’è dovuto piegare al rigore degli hard-disk giapponesi. Una nemesi.

Il mondo dei monopolisti dell’IBM, contro il quale ti sei scagliato in gioventù, l’hai ricostruito tale e quale, insieme al tuo amico Bill, ma – è qui è la tua grandezza – senza perdere un grammo del consenso di questi milioni di ragazzi  – soprattutto ex ragazzi, a dire il vero – con le tracolle, le bandiere della pace e il mito di John Lennon. Tu e Bill, due facce della stessa medaglia. Due attori consumati, pronti a scambiarsi la parte del leader e del follower, a seconda delle necessità del mercato. Lui antipatichello, tu gradevole, smart e politically correct.

Oggi però ti scrivo per darti una cattiva notizia: in Italia, come nel resto del mondo, milioni di persone stanno crackando i tuoi IPhone per montare sistemi open source, e ficcarci dentro il diavolo che gli pare. Gli smartphone Android hanno superato, in numeri assoluti di vendite, i supporti Apple. E’ in corso una forma di rivolta alla Masaniello, applicata ai sistemi informativi.
Il tuo mondo sta morendo, caro Steven, si sta lentamente disgregando, sotto i colpi del progresso: “Sono in tanti, giovani e meno giovani, che decidono di passare a sistemi open. Non si tratta solo di una scelta di maggiore versatilità ma, soprattutto, la sensazione di non ritrovarsi chiusi in un mondo dal quale non possono uscire”. Come Masaniello contro gli spagnoli, appunto, come Mohamed Bouazizi da Sidi Bouzidi, migliaia di giovani stanno preparando una nuova rivoluzione digitale, improntata sullo scambio e sul progresso, più che sul profitto.

Il progresso, Steve. Ti sei mai chiesto qual è la differenza tra il business e il progresso?

Parliamo di mele. Un filosofo irlandese diceva che se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scambiamo, avremo sempre una mela per uno. Ma se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee. Tu, invece, te ne sei sempre fottuto delle idee degli altri, Steve. E appena ne hai avuta una tua – e ne hai avute di preziose – hai sempre fatto in modo di presidiarla e sorvegliarla in maniera rigorosa, come fanno i ricchi americani, con le loro ville a Beverly Hills o i leghisti nostrani coi loro box auto nella provincia di Varese.  E’ qui è la differenza tra il progresso e il business. O meglio, tra il un business sano e uno impuro e – consentimi – un po’ egoista.

Nessuno ti ha mai chiesto di pensare gratuitamente e per lo sviluppo e il bene delle genti future – altrimenti ti saresti chiamato Marconi, non Jobs. Ma scambiare le idee, quello sì, era dovuto. Avresti aiutato ad accelerare i processi di sviluppo. Avresti generato una diminuzione dei costi per i tuoi fan e creato un clima di mercato più salubre. Come ti è saltato in mente di affermare la tesi della superiorità della razza Apple, perseverando sulla strada del razzismo informatico, giocando a rimpiattino col tuo amico Bill, alle spalle di milioni e milioni di persone? Come hai potuto privare l’utenza planetaria, che avevi meritatamente conquistato, di una rapida evoluzione, a vantaggio di una evoluzione che fosse solo Tua (o di Bill), con un relativo, lento, inesorabile aumento degli introiti e della salvaguardia della “purezza” della razza informatica che avevi creato? Proprio tu? Tu che «essere l’uomo più ricco al cimitero non mi interessa», tu progressista, tu tollerante, tu che amavi perfino le biciclette …

E’ tutto chiaro, Steve, tutto normale, tutto lecito. Lo hai fatto perché hai sempre creduto che le tue idee fossero giuste e quelle degli altri non valessero granché. Lo hai fatto perché hai creduto fermamente che lasciar marcire un sistema di lettura video che non fosse il TUO sistema di lettura, fosse una cosa sacrosanta. Lo hai fatto perché you’re not a dreamer, come quel fessacchiotto di Lennon; e a 25 anni valevi “più di 100 milioni di dollari” e hai sempre creduto che “image no possession” fosse una grande, grandissima puttanata. Lo hai fatto perché hai creduto in te e nei tuoi. Non negli altri.

E chi glielo spiega adesso a questi delle tracolle? Cosa penseranno, quando comprenderanno l’inganno?  Quando capiranno che il loro guru, infine non era che uno scaltro imprenditore, affamato sì, ma di danaro e monopoli, alla stregua di tutti i capitani d’impresa della storia dell’occidente. Cosa diranno quando capiranno che, come è inevitabile che sia, anche tu hai aperto la tua strada passando sui cadaveri degli altri, proprio come Zuckerberg con il suo Facebook, la BMW, Hugo Boss, la Coca-cola e tutti i milioni di brand che si sono affermati dal medioevo a oggi.A noi italiani, come funziona, lo ha spiegato molto bene una ragazza barese, una filosofa inconsapevole, qualche giorno fa in un’intervista di successo – non ti dico la combriccola delle tracolle che levata di scudi!

Ma cosa vuoi che ti dicano, Steve? Nulla. Non diranno nulla, tranquillo. Non diranno neppure una parola. Non lo scopriranno mai. Loro sono troppo impegnati ad essere tolleranti, progressisti e a cambiare la loro immagine del profilo con la mela che piange. Non hanno tempo da dedicare a una verità, che non sia la loro. Ormai tu sei un’icona, e tale resterai. La pubblicità è più forte della realtà (milioni di uomini ogni giorno ingeriscono felici una bevanda gassata e corrosiva, che sa di medicinale). Come il Che per i pacifisti, sei destinato a rappresentare il bene, anche in ambiti che non ti hanno mai riguardato.

Ho come la sensazione che li abbia fatti fessi tutti, Steven. E proprio in grande stile. E anche per questo mi mancherai.
Ma gli occhialetti – dimmi la verità –, Lennon o Himmler?

Sempiterna gratitudine.
E scusa il ritardo,
g

L’Europa irrilevante

Tra la Russia e il MediterraneoDobbiamo a malincuore constatare che l’Unione Europea dei 27, parvenza di un’Europa politica, è attualmente soltanto un’ “espressione geografica” tra la Russia e il Mediterraneo: una vera e propria nullità sul piano geopolitico. Dal punto di vista geostrategico, invece, essa costituisce la testa di ponte degli USA lanciata sulla massa euroafroasiatica. Per quanto riguarda poi il proprio stato di salute economico e finanziario, i Paesi dell’Unione possono vantare il primato di aver distrutto, nell’arco di appena due decenni, un equilibrio sociale – precario e debole quanto si voglia e certamente bisognoso di sostanziali e radicali correttivi. Un equilibrio che, tuttavia, giacché imperniato sullo stato sociale, costituiva un poderoso elemento di coesione nazionale ed europeo, nonostante le tensioni pure gravi che hanno costellato la storia europea degli ultimi trent’anni. Ma l’errore maggiore è stato quello di non aver costruito alcunché di alternativo, e neanche di prospettare un’ipotesi valida per la costruzione di un’Europa attenta alle questioni sociali ed alla stabilità economica. L’ubriacatura neoliberista, inaugurata dal thatcherismo, ha attraversato tutta la cultura “politica” dell’Europa continentale, esprimendosi, in nome di un’unilaterale concezione della “modernizzazione”, in pratiche antisociali, e, soprattutto, asservendo drammaticamente le scelte politiche e gli interessi – nazionali ed europei – alle logiche economiciste ed espansioniste del vivace ed aggressivo turbocapitalismo d’Oltreoceano. Le dinamiche economico-sociali del neoliberismo degli ultimi anni hanno avvantaggiato soltanto esigui e selezionati ceti europei e aumentato il divario tra “ricchi” e “poveri”.

Sul piano culturale, le cose non stanno di certo meglio. L’industria culturale di massa, quella che in particolare determina i comportamenti delle nuove generazioni (anche di quella parte di esse che si vorrebbe antagonista ed alternativa), appare totalmente dominata dagli stereotipi d’Oltreatlantico, come peraltro quella di élite. Le classi dirigenti europee, siano esse politiche, economiche, finanziarie o intellettuali, mallevadrici dell’american way of life, sono in gran parte cooptate nelle strutture di dominio statunitense. Il loro operato sembra dunque rispondere a egoistici interessi di casta e, soprattutto, almeno a partire dalla prima guerra del Golfo, a quelli economico-finanziari di Wall Street e a quelli strategici di Washington.

Il soft power statunitense ha vinto le ritrosie anche di quei settori della sinistra europea, in larga parte tradizionalmente antiamericana, e di quegli strati delle destre nazionali più attenti agli interessi continentali.

Stralcio del discorso di B. Obama sullo Stato dell’Unione

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Traduzione di Giampiero Venturi

“…due saranno le riforme su cui dovremo puntare. E sarà una lotta dura, ardua… ma vinceremo le resistenze di chi vuole il vecchio.

Primo: a partire dal 2011 sarà eliminato il mal di testa. Inizialmente con passaggi graduali, poi via via sempre di più, fino ad eliminarlo del tutto.

Questa riforma riguarderà tutti i cittadini americani e come è normale che sia per un governo della spesa pubblica, aumenteremo di un punto l’aliquota sui redditi. Molti si lamenteranno per questo; ma è un prezzo che dovremo pagare se vogliamo che i nostri figli crescano senza mal di testa.

C’è chi dirà “io il mal di testa non ce l’ho mai avuto… perché devo pagare una tassa per quelli che ce l’hanno?”

Dov’è la solidarietà che ha fatto di questo paese una potenza mondiale, mi domando io… Dov’è lo spirito dell’America?

Per venire incontro a quanti però insisteranno, faremo in modo che a chi non ha il mal di testa, verrà eliminato anche il mal di denti. E se non avranno nemmeno il mal di denti, allora, toglieremo il mal di pancia. Non avete il mal di pancia? Allora sarà deducibile il ma di gola. Non avete neppure il mal di gola? Allora di che cazzo vi lamentate? Non è vero che le cose vanno così male allora…

Seconda riforma: coi soldi che avanzeranno dalla riforma del mal di testa, pianteremo alberi di pane. In tutti i giardini. Ogni casa americana avrà il suo albero di pane.

Ci sarà chi dice…”ma io il giardino non ce l’ho…”

Per tutti quelli che non hanno un giardino, troveremo una soluzione. Pianteremo alberi di pane nei giardini pubblici.

Una sola cosa vi chiedo però. Un ultimo sforzo per fare rimanere grande questo paese.

Vi chiedo di compilare un modulo per specificare se l’albero di pane lo volete con le rosette o con le ciabattine. Più sarete precisi, più avremo un futuro di crescita e sviluppo per noi e per le categorie svantaggiate.

Una cosa non potrete chiederla però. La pagnotta casareccia. Quella ancora non ve la posso promettere. Dovremo aspettare almeno il 2012, ma col Congresso dalla mia parte, non avremo problemi a raggiungere questo altro grande obiettivo. Per ora comunque, cari concittadini, solo rosette e ciabattine….”

continua…

(se va avanti così, mi sa non per molto)

Dans la démocratie

 

“Dans la démocratie, les simples citoyens voient un homme qui sort de leurs rangs et qui parvient en peu d’années à la richesse et à la puissance ; ce spectacle excite leur surprise et leur envie ; ils recherchent comment celui qui était hier leur égal est aujourd’hui revêtu du droit de les diriger. Attribuer son élévation à ses talents ou à ses vertus est incommode, car c’est avouer qu’eux-mêmes sont moins vertueux ou moins habiles que lui. Ils en placent donc la principale cause dans quelques uns de ses vices, et souvent ils ont raison de le faire. Il s’opère ainsi je ne sais quel odieux mélange entre les idées de bassesse et de pouvoir, d’indignité et de succès, d’utilité et de déshonneur “.

A. de TOCQUEVILLE, De la démocratie en Amérique, Paris, Garnier Flammarion, 1981, tome II, p. 313.

Dilemma americano

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«Il dilemma dell’America è tra due modelli: Eliogabalo e Adriano. All’impero di Eliogabalo l’America sarebbe arrivata proseguendo con Clinton sulla sua Terza Via. Ciò che è bene per Wall Street è bene per l’America, cuore a sinistra e portafoglio a destra. Non esistono valori assoluti, ma solo valori relativi, se possibile da quotare in Borsa. Gli scandali fanno parte del paesaggio e così via. Al secondo modello, ad Adriano, può corrispondere Obama, che si riporta alla tradizione dei democratici Anni ’30, ai valori roosveltiani, e che ha la sorte di concorrere a disegnare un nuovo modello di civiltà. La crisi è globale e la soluzione può essere solo globale, non solo economica, ma politica, basata su un New Deal globale».

Faccetta nera

Mr Obama è il presidente degli Stati Uniti d’America. E’ dunque il nostro presidente. Per quanto nella periferia dell’impero, siamo pur sempre una provincia, una colonia degli States.

Una cosa giusta – tanto per cambiare – l’ha detta Bossi: “Il presidente non comanda un bel niente; a comandare sono le lobby, le multinazionali, le holding”. Parole sante.

Resta la pietra miliare: per la prima volta nella loro breve storia, gli Stati Uniti d’America avranno un presidente negro – come direbbe la Treccani – o nero, come dicono i pc (che in America sono i politically correct). E resta soprattutto la rottura di un tabù. Le logiche di potere non potranno essere scardinate da questo giovane trovatello dagli occhi vispi. Avrà addosso le eminenze grige che lo costringeranno negli argini delle politiche economiche americane, come al solito. Già m’immagino le facce stupefatte dei liberal nostrani quando mr Obama dovrà ordinare di rimpinzare le truppe in Iraq e in Afghanistan. Quelli sono equilibri che stanno a cuore a chi conta negli States e nessun Presidente potrà mai metterli in discussione. A meno di grandi, auspicabili sconvolgimenti planetari. Per avere un’idea in piccolo, basti ricordare come qualche anno fa il nostrano governo D’Alema ha bombardato la rossa amica Serbia, senza colpo ferire

Barack, che in israelitico vuol dire “benedetto”, è uno sveglio, fresco, giovane. E poi è della mia Chicago. Ricordo che già due anni fa, era l’unico tra i candidati a dire cose sensate, al passo con i tempi.

L’America, dunque, segue inesorabile il corso naturale della sua storia. Auguriamoci che presto anche l’Europa possa ritrovare la sua strada.

PS A scanzo di equivoci: io comunque non l’avrei votato. Sui carri ci salgo solo quando sono i miei.

Goldman Sachs

http://www.finanzalive.com/wp-content/uploads/2008/07/goldman-sachs.jpg

Sapete chi è il maggiore finanziatore di Barack Obama? Una banca d’affari. L’ultima rimasta in America dopo il tonfo della Lehman Brothers: la Goldman Sachs.

http://opensecrets.org/pres08/contrib.ph…

E sapete chi c’è tra i maggiori finanziatori del rivale McCain? Proprio la stessa banca d’affari.

http://opensecrets.org/pres08/contrib.ph…

La faccenda sembra alquanto irrazionale, soprattutto se si spendono milioni di dollari, a meno che non si cominci a pensare che a governare gli Usa sia proprio la Goldman Sachs.

Ma torniamo all’Italia.

Romano Prodi era un consulente della Goldman Sachs. Gianni Letta, il fidato consigliere di Berlusconi, nonché manager di famiglia nel gruppo Fininvest, ora sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri, è anche lui un uomo della Goldman Sachs.

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLin…

Berlusconi assieme al colosso bancario avrebbe addirittura comprato una società. Si chiama Endemol. Il governatore della Banca D’Italia Mario Draghi fu addirittura vicepresidente della Goldman Sachs per Europa.

Ma allora da chi siamo governati?

Massimo Tononi, Padoa Schioppa e Mario Monti sono uomini della Goldman Sachs. E sapevate che Robert Rubin (segretario al Tesoro USA, sotto Clinton), Henry M. Paulson (Segretario al Tesoro sotto G.W. Bush), Robert Zoellich (vicesegretario U.S.A.), William Dudley (capo della Federal Reserve Bank di New York), Paul Thain (capo del New York Stock Exchange), Joshua Bolten (capo di gabinetto alla Casa Bianca), Gary Gensler (sottosegretario al Tesoro), Jon Corzine (Governatore del New Jersey), Philip D. Murphy(Partito Democratico U.S.A.) sono tutti uomini marcati Goldman Sachs?

Goldman Sachs, Goldman Sachs, Goldman Sachs, Goldman Sachs…

Complotto? Ma no, ma no… Sono solo coincidenze.

Americans

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“La tentazione egemonica è da lunga data una delle caratteristiche della politica degli Stati Uniti d’America; si potrebbe dire che è iscritta nei loro cromosomi, per le dimensioni del paese e per la tendenza all’espansione dei coloni e dei loro eredi, che non si sono mai tirati indietro quando si è trattato di pagare, e di far pagare, il prezzo dell’ampliamento delle frontiere. Anche quando alcuni presidenti degli Usa hanno innalzato il vessillo dell’isolazionismo, sottintendevano che nel “cortile di casa” (le intere Americhe…) si riservavano comunque mano libera. Il non intervento si limitava agliscenari d’oltre Atlantico. E’ ovvio che, in epoca di globalizzazione,il cortile si è alquanto ampliato, fino a non avere più confini, se non quelli obbligati dalle circostanze. Stando ai precedenti storici, questa tendenza è stata assecondata sia dai democratici che dairepubblicani”. {Marco Tarchi}

Marco Tarchi è un politologo, professore ordinario all’Università di Firenze. Leggi una sua interessante intervista (“siamo tutti americani?”)sull’egemonia americana e sulla concezione di “cultura occidentale” che caratterizza l’Europa contemporanea.

Adotta uno Yankee: compra benzine Esso e Shell!

I mass media nazionali sono scossi dal calo delle vendite dei concerti rock negli Stati Uniti. Tutti i maggiori giornali e telegiornali hanno riportato la notizia con fragore: a causa del caro greggio gli yenkee devono rinunciare ai lro appuntamenti tradizionali con la musica rock. Il fatto che un gallone di benzina costi due euro e quaranta (cioè 0.6 € al litro) ha gettato nello sconforto i Nostri, spingendoli a rinunciare addirittura alle loro decadenti riedizioni delle Woodstock che ogni anno punteggiano l’estate americana. Siamo davvero dispiaciuti e costernati per questo incidente; ovviamente siam pronti ad aumentare ancora il costo dei nostri carburanti (dei quali più della metà viene estratta da loro sul nostro suolo) per consetire finalmente ai nostri liberatori di portare i loro tremolanti complessi adiposi sotto i palchi a raggi laser; cosicché possano, in preda a delirio Fender Stratocaster, urlare al mondo intero che loro e solo loro sono born in iuessei.

Leggi l’articolo del Corriere di oggi.

American way

Banale, populista, demagigico è lo spirito nazionalista americano.
Pacchiano, volgare e superficiale il loro patriottismo privo di storia.
Eppure, con questi quattro stracci d’ideali, riescono ad essere un popolo, al contrario di noi.

American Girls and American Guys
We’ll always stand up and salute
We’ll always recognize
When we see Ole Glory Flying
There’s a lot of men dead
So we can sleep in peace at night
When we lay down our head

My daddy served in the army
Where he lost his right eye
But he flew a flag out in our yard
Till the day that he died
He wanted my mother, my brother, my sister and me
To grow up and live happy
In the land of the free.

Now this nation that I love
Has fallen under attack
A mighty sucker punch came flying in
From somewhere in the back
Soon as we could see clearly
Through our big black eye
Man, we lit up your world
Like the 4th of July

Hey Uncle Sam
Put your name at the top of his list
And the Statue of Liberty
Started shaking her fist
And the eagle will fly
And there’s gonna be hell
When you hear Mother Freedom
Start ringing her bell
And itll feel like the whole wide world is raining down on you
Ahhh Brought to you Courtesy of the Red White and Blue

Ohhh Justice will be served
And the battle will rage
This big dog will fight
When you rattle his cage
And you’ll be sorry that you messed with
The U.S. of A.
‘Cause we’ll put a boot in your ass
It’s the American way

Hey Uncle Sam
Put your name at the top of his list
And the Statue of Liberty
Started shaking her fist
And the eagle will fly
And there’s gonna be hell
When you hear Mother Freedom
Start ringing her bell
And itll feel like the whole wide world is raining down on you
Brought to you Courtesy of the Red White and Blue

Uhhh Ohhh
Of the Red, White and Blue
Ohhh Ohh Oh
Of My Red, White and Blue

dal Corriere (come se niente fosse)

WASHINGTON – L’uomo incinto ha partorito una bambina. Thomas Beatie, il transgender che aveva fatto molto parlare di sé negli ultimi mesi, ha dato alla luce una bambina domenica. La notizia è stata diffusa dalla Abc news. Il parto, avvenuto nell’ospedale di Bend, nell’Oregon, è stato naturale. “La bambina sta bene ed è molto graziosa” ha affermato una fonte dell’emittente americana.

Beatie, 34 anni, hawayano, ha cambiato sesso legalmente dieci anni fa, quando il suo nome era ancora Tracy Lagondino. Un’operazione chirurgica in cui si era fatto rimuovere il seno e una lunga terapia ormonale, hanno cambiato il suo aspetto estetico, che adesso è quello di un uomo. Nonostante questo, aveva scelto di mantenere gli organi genitali femminili, per potere partorire un figlio. L’annuncio della gravidanza, diffuso lo scorso aprile, lo ha reso celebre in tutto il mondo.

E’ stata la moglie Nancy, 45 anni – che non poteva più avere figli perché aveva subito un’isterectomia – ad aiutare Beatie a rimanere incinta. La tecnica è stata quella dell’inseminazione artificiale. Quando i due hanno preso la decisione, nessuna clinica aveva accettato di assisterli. Per questo l’operazione è stata fatta in casa con una siringa e lo sperma di un donatore esterno. La prima volta è rimasto incinta di due gemelli ma era una gravidanza extrauterina: ha perso i feti e una tuba di falloppio. Al secondo tentativo tutto è andato per il meglio. “Avere un bambino non è un desiderio femminile, né maschile – aveva dichiarato Beatie – E’ un bisogno umano. Sono una persona e dunque ho diritto ad un figlio biologico”.


(3 luglio 2008)

Figli di un sol calante

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L’Unità di oggi annuncia, non senza giubilo, che l’ex first lady democratica Hillary Clinton ha messo a segno, questa notte, una grande vittoria nello stato del West Virginia. Alla faccia del bicarbonato di sodio, direbbe Totò. E’ un po’ come se Mancini dicesse che quello di domenica scorsa col Siena è il primo risultato utile consecutivo, dopo la sconfitta col Milan.

Ho come il sospetto che le primarie per il Partito Democratico americano siano intese più come un episodio di entertainment che un fatto politico vero e proprio. Un passatempo per le genti, una sit-com planetaria.

Quella americana – ho avuto modo di constatare di persona – è una bizzara democrazia. Alle elezioni presidenziali va a votare meno del 50% degli aventi diritto, dei quali una buona parte vota su Internet. Il Presidente USA rappresenta quindi sì e no un americano su quattro. E questo è niente. Nelle altre consultazioni (nei singoli stati, nelle contee e nei municipi) si scende fino al 25-30% di votanti. Se ne deduce quindi che nel santuario della democrazia ci sono anche “maggioranze” che rappresentano meno del 13% della popolazione.

Ma non era il consenso quella forma di appartenenza e di partecipazione, quella forza centripeta che rende l’individuo parte attiva ed integrante di un popolo e di una comunità? No.

Il consenso, nelle “democrazie mature”, è piuttosto ininfluente. Non erano infatti, i cittadini inglesi e americani, del tutto contrari all’intervento in Iraq? Eppure le truppe “alleate” ancora scorrazzano tra il Tigri e l’Eufrate, incuranti del dissenso popolare. E ancora. Non è forse Hillary la moglie di Bill, che succederà a George Walker, figlio di George Herbert? Tutto mentre la piccola Chelsea sta già riscaldando i motori per la scalata di domani.

E pensare che noi in Italia ancora ci s’incazza se si scopre il figlio di o la moglie di sono stati assunti in questo o quel posto di lavoro. Siamo proprio una democrazia immatura, non c’è niente da fare. Nel 2013 dovremmo votare tutti Piersilvio via sms e fargliela vedere noi a sti americani chi sono i veri “democratici”, diamine!

Lenin diceva che la democrazia è il miglior involucro della dittatura del capitale. Una volta lo diceva pure L’Unità, ma oggi è forse troppo impegnata a contare i voti del West Virginia per ricordarselo.